Quello che si instaura con le banche può diventare un vero e proprio “rapporto malato”.
Un po’ come quelle relazioni tossiche di cui parlano ogni tanto gli psicologi, nelle quali una delle due parti non riesce a svincolarsi dall’altra.
Può sembrarti eccessivo come accostamento, eppure ti assicuro che molte delle aziende che supportiamo intrattengono legami di questo tipo con le banche.
Molto spesso si tratta di una gestione sbagliata delle fonti di finanziamento che parte dalle origini dell’attività.
Una strada che col tempo conduce molte aziende a diventare schiave degli istituti di credito e molti imprenditori a prendere decisioni strategiche in base alla necessità di mantenere in essere i rapporti bancari.
Ne è un esempio la maglieria di Anna e sua sorella.
Un caso a cui sono particolarmente affezionato, perché abbiamo accompagnato l’azienda per più di tre anni, traghettandola da una condizione nella quale sembrava quasi spacciata, fino alla rinascita, resa possibile dall’introduzione dei meccanismi dell’autofinanziamento.
Non è stato semplice.
Siamo riusciti nell’impresa perché le imprenditrici hanno abbracciato l’idea di cambiare in maniera radicale il modo di gestire l’azienda, oltre che la liquidità.
Si partiva da una situazione di totale dipendenza dalle banche e di sudditanza da clienti e fornitori.
Un modus operandi talmente radicato nell’approccio imprenditoriale delle due sorelle, che era quasi inconcepibile pensare a una strada diversa.
In realtà la responsabilità della forte dipendenza dalle banche e di tutte le conseguenze che ne sono derivate non era solo delle imprenditrici.
Derivava dall’approccio conservativo e, a dirla tutta, anche piuttosto superficiale e sbrigativo, dei consulenti amministrativi dell’azienda.
Avevano contribuito a portare una bella azienda manifatturiera a una situazione ai limiti della sopravvivenza.
Vendite in perdita per anni e condizioni di finanziamento bancario ai limiti dell’usura, avevano portato un’azienda solida e affermata come la maglieria di Anna e sua sorella a bruciare liquidità in modo incontrollato.
Completa esposizione del patrimonio aziendale e personale, a causa di una forma societaria inadeguata e altamente rischiosa, altissimo rischio di pignoramento dei beni, conti correnti in tensione e insoluti bancari, TFR, contributi e ritenute d’acconto dei dipendenti mai versato, cartelle esattoriali e debiti fiscali non assolti, fornitori pronti a interrompere le forniture.
Questi erano i problemi da affrontare.
Chiunque avrebbe dichiarato il paziente clinicamente morto.
Soprattutto alla luce della profonda diffidenza di Anna nei confronti dei consulenti e del suo vero e proprio terrore a svincolarsi da un rapporto malato con le banche.
Eppure, anche le situazioni più disperate nascondono un margine di manovra e successo più che concreto.
Ho raccontato in un breve video la storia, i problemi e le soluzioni che abbiamo escogitato.
Guardandolo scoprirai:
E tanto altro ancora.
Guardando la storia di quest’imprenditrice, potrai capire come si possono spremere le risorse finanziarie interne all’azienda anche se non hai più accesso ai finanziamenti bancari.
Buona visione!
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